Stai visualizzando Journal des Parques J-15
La pêche aux corps mourants | Sonia Codhant, David Noir | "Définitives Créatures" © David Noir | Il teatro è un mare morto di cadaveri

Giornale dei Parchi D-15

Cazzo mobile

Oggi, mare calmo.

Niente olio, solo calma.

Ciò non significa che non si possa fare nulla.

Come ogni giorno, i compiti si susseguono. Non abbastanza per essere in vantaggio, ma la sensazione di una relativa padronanza del tempo, almeno per un giorno. Ma non abbastanza per proclamarsi eroe.

Né euforia galoppante né disperazione senza fondo. Scrivere il post di ieri mi ha portato tanto vuoto quanto stabilità. Un po' stranamente, ci sono cose che devono essere dette, temi che devono essere affrontati, spiegati nel modo più chiaro possibile almeno una volta, per essere liberati dalla preoccupazione di esprimerli; cose che improvvisamente diventano molto più pressanti alla porta delle proprie idee, come se stessero risalendo la corrente da sole per prendere il comando. È stato il caso ieri della pornografia.

Così oggi, più del solito, un po' sciupato dallo sforzo, scrivo lungo l'acqua, lasciando che la mia mano penda nella frescura dell'onda. Non credo di non voler dire nulla, altrimenti scriverei "pagina bianca", come scrive a volte il browser quando non riesce ad aggiornarsi. Non sto parlando di un marinaio sotto un sole cocente, sto solo usando le espressioni del Web che sono propriamente dedicate a questa situazione.

È sempre impressionante, persino commovente, per me che amo divertirmi con le parole della nostra lingua, vedere il prestito di un vocabolario appartenente a un universo per essere dirottato su un altro. Ci sono così tante coincidenze poetiche che basterebbe chinarsi per raccoglierle e lavorare una vita per metterle insieme. Quando ci si pone, con la propria problematicità, all'incrocio di questi universi, ci si trova in un luogo privilegiato di creazione. Il resto avviene da solo. Mi sembra chiaro che i legami tra il teatro, la cui struttura è stata costruita in passato grazie all'abilità dei maestri d'ascia - chiamati anche a costruire impalcature, va detto - e il flusso di Internet, paragonabile a un oceano infinito, mi fanno sentire come un guardiano che naviga continuamente da un'onda all'altra. Percepisco sempre meno i confini come impermeabili.

Sono consapevole che questo può ancora sembrare curioso o inverosimile per alcuni conoscitori dell'uno o dell'altro campo, ma le sensazioni che provo nei miei viaggi transdisciplinari rafforzano ogni volta di più questa analogia. Da quando ho messo piede sul palcoscenico, ho sempre avuto la sensazione che i palchi fossero come i ponti delle navi che si fondono con il mare degli spettatori. A volte ho persino suonato con la bassa marea. Ma una sensazione recente, nuova per me, è nata quando, qualche anno fa, mi sono occupato dei problemi di costruzione del sito. Ho inevitabilmente avuto a che fare con il codice HTML, ma soprattutto con il CSS, che lo completa codificando il layout. Lungi dall'essere un webmaster, ho comunque imparato abbastanza da scoprire l'incredibile vita biologicaNon sarò pedante nel destreggiarmi con concetti che spesso mi sfuggono, ma voglio solo esprimere come questo apprendimento superficiale abbia nutrito la mia immaginazione poetica. Non sarò pedante, destreggiandomi goffamente con concetti che spesso mi sfuggono, ma voglio solo esprimere come questo apprendimento superficiale abbia comunque nutrito la mia immaginazione poetica. Per un intero periodo, non mi sono mai stancato di giocare con le varie posizioni del elementi galleggianti. Anche in questo caso, non sto scegliendo la parola deliberatamente per sostenere le mie argomentazioni, ma sto semplicemente usando il termine designato, la proprietà "float", che è possibile assegnare, ad esempio, a un blocco per rimuoverlo dallo stream e posizionarlo a sinistra o a destra del suo contenitore.

È che c'è effettivamente un flusso naturale nella progettazione del codice, la cui legge preesiste a tutte le modifiche degli elementi utilizzati per creare il layout. Probabilmente questo non entusiasmerebbe un informatico, ma poiché non ho conoscenze matematiche serie, devo dire che sono senza parole. La sola forza evocativa di questo sistema mi farebbe ovviamente venire voglia di saperne di più, ma la mia testolina non è in grado di portarmi molto oltre. Non importa, non mi resta che sperimentare un po' e percepire tutta la ricchezza potenziale che esiste nel mettere insieme campi a priori così dissimili come poesia e informatica.

 Altri esempi sono ancore utilizzato in una pagina web, a Internet stesso, abbreviazione di Network, che sottintende la nozione di rete.

Quindi, in base a questo fluido processo di associazioni, che sicuramente esiste da quando il nostro cervello funziona - che si tratti di idee, persone, tratti del carattere, parole o semplici coincidenze - confesso umilmente di essere completamente all'oscuro del fenomeno della famosa "pagina bianca" di cui si parlava sopra, e del suo sorprendente e vertiginoso vuoto, che si dice sia temuto da tanti scrittori in cerca di ispirazione. Io non me ne vanto, non vedo il motivo di forzarmi a scrivere se non voglio dire nulla. Probabilmente è perché non sono uno scrittore; il che, in un certo senso, sarebbe un sollievo, visto che non ho mai voluto esserlo.

Perché scrivere allora? Nel mio caso, perché il palcoscenicoQuesto è il famoso pontile su cui voglio stare il più possibile per respirare l'aria del mare, ed è il materiale più disparato ed eterogeneo che ci sia.

In teatro si può fare tutto e armeggiare con tutto; è anche per questo che l'ho fatto, cercando lo spazio con meno vincoli possibili. Mi sbagliavo su un aspetto di questo punto, perché chiunque pratichi un po' sa quanto ci si scontri con tutte le variabili dell'essere umano. D'altra parte, per quanto riguarda la creazione, tutto è permesso. Canzone, danza, testo, decostruzione, immagini, suoni, oggetti, materiali, forme e formati, tutto può essere plasmato e modulato.

Il teatro è un coacervo di altre arti. Se lo si volesse valorizzare, si direbbe che le racchiude tutte, che è certamente quella più vicina alla vita. È tanto la verità dell'illusione quanto l'illusione della verità. Sono i suoi stessi contorni, così difficili da definire una volta per tutte, a renderlo ancora attraente, nonostante la sua età canonica e la sua disgustosa propensione a sguazzare nei suoi escrementi senza età. Ma del resto, è un cacochima che è ancora in piedi, contro ogni previsione. Le infusioni regolari non sono troppe per fargli riaprire gli occhi.

Le dinamiche della Rete fanno bene al suo umore e credo sia importante non lasciarlo rinchiudere nella sua stanza cremisi a rivangare i suoi gloriosi ricordi e le altre Jean Vilareries, anche se risalgono solo a dieci anni fa. È un uomo che va violato senza accettare il suo profondo desiderio di riposare come un buon vino. Lungi dall'acquisire stile, assume un sapore di botte vecchia che va di pari passo con la sua pretesa di credersi eternamente in gara. No, no, vecchia carne, muovi la tua carne molle e piena di piaghe per andare a giocare all'aria aperta per un po'; abbiamo bisogno che il tuo sangue circoli. I tuoi coaguli, sparsi in gran numero, ci minacciano di embolia tanto quanto la tua povera carcassa, noi che abbiamo la debolezza di prenderci cura di te. Per osmosi, la trombosi ci minaccia. La vediamo a ogni angolo dell'altopiano. Un giorno, un giorno forse troverete una nuova giovinezza; si può sperare. E quel giorno, credetemi, sarò tra i primi a voler stappare lo champagne in vostro onore.

Il fatto che io sia coinvolto nella vostra guarigione mi importa poco, in verità. Sempre, come il buon figlio sciocco che cerco di allontanare per quanto mi sforzi di ritrarlo in questi testi, sarò lì ad assisterti come posso e il più delle volte, spero, come voglio e non piegandomi sotto il peso del tuo corpo impotente e delle tue infami richieste. Perché molto spesso sei tu la balena che mi inghiotte e non il glorioso ventre di un galeone rimbalzante pronto a ricevere il frutto del mio stupro. Mi ritrovo, sciocco, nudo senza coperta, a dibattermi nelle viscere flaccide di un mostruoso animale marino in stato comatoso, un elefante marino gargantuesco, la cui corta proboscide si immerge flaccidamente nel vomito che rigurgita a piccoli sorsi repressi, come un ubriaco sbavante, il labbro pendente, il culo immerso nel suo succo di vomito, piscio, merda e alcol.

Sì, a volte è così e, in assenza di rinascita, devo espellermi dalle tue viscide pieghe con la rabbia di un alieno che ha sbagliato casa prima di raggiungere il suo termine.

Da qualche ora il mare è meno calmo. È meglio tornare in cabina prima che arrivino i frangenti. Gargantua, Pinocchio, Leviatano... stasera queste creature mitiche non mi dicono nulla di utile e vedo ancora una volta come le cornici dei teatri possano assumere, quando le evoco come tetti protettivi, le forme di scheletri familiari a cui si associano volti che infestano le sale dei musei al mio fianco.

Storia naturale, storia senza parole; a volte è meglio tacere contemplando l'orizzonte, piuttosto che rischiare formule che potrebbero far emergere demoni dall'abisso. Per il momento, il mio turno di guardia è finito. Torno alla cabina.

David Noir

David Noir, performer, attore, autore, regista, cantante, artista visivo, video maker, sound designer, insegnante... porta la sua nudità polimorfa e la sua infanzia in costume sotto gli occhi e le orecchie di chiunque voglia vedere e sentire.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.